MA QUALI SONO I “NO” CHE AIUTANO A CRESCERE?

Tutti avrete già sentito parlare di un libro divenuto molto famoso, pubblicato nel 1999 da una psicoterapeuta infantile, Asha Phillips, dal titolo “I no che aiutano a crescere”. Si tratta di un testo basato sull’esperienza professionale dell’autrice con il quale non trasmette prescrizioni su come essere un bravo genitore, bensì stimola i genitori a trovare, con coraggio e creatività, il loro modo di educare.

         Ma, all’atto pratico, quali sono i “no” che aiutano a crescere? Quanti devono essere? Come vanno posti e su cosa?

         Il “no” rappresenta non solo la regola, ma un confine, un limite, un contenimento, non si può sempre dire di sì ma neppure dire sempre di no, è necessario che venga posto al momento giusto e nella situazione giusta per essere educativo e non semplicemente limitante. Quando diciamo un “no” stiamo sicuramente frustrando quello che nostro figlio può ritenere un bisogno importante nel momento in cui ce lo pone, dunque dobbiamo essere fortemente convinti della validità di quel “no”. E qui entra in gioco inevitabilmente la storia personale di ogni genitore, le esperienze che ha fatto, le limitazioni che ha avuto dai suoi genitori e che hanno creato dentro di lui una mappa concettuale su ciò a cui bisogna opporre un “no”.

         Quando parliamo di educazione  non si può prescindere da un pilastro fondamentale, cioè che i bambini hanno bisogno di contenimento per crescere emotivamente, hanno bisogno di limiti per sapere fin dove si possono spingere, e questi limiti si modificano con la crescita: ad esempio, se nei primi anni di vita è importante insegnargli che non si mettono le dita nella presa, quando iniziano a camminare è importante che diano la mano quando devono attraversare la strada, in adolescenza saranno altri gli aspetti da tenere sotto controllo. Infatti nell’adolescenza il discorso si amplia ulteriormente, ed accanto ad alcuni “no” ed altri “sì” diventa indispensabile aprire un dialogo improntato alla comprensione e all’accoglienza di tutte quelle paure, quei timori, quei dubbi, quelle insoddisfazioni che sono tipiche di questo periodo della vita.

         Questo significa che quando parliamo di educazione una caratteristica fondamentale deve essere la flessibilità, analizzare la situazione, l’età, i fattori in gioco e valutare cosa per noi è importante che nostro figlio impari a gestire. Se è vero che il “no” rappresenta un limite, un confine, entro cui muoversi è altrettanto vero che i figli devono essere capaci (e liberi) di camminare nel mondo e fare esperienze, ed imparare attraverso di esse. Sarà opportuno dunque avere poche regole certe e chiare, e avere fiducia nella capacità dei nostri figli di gestire le situazioni della vita. Ci sono genitori che dicono solo di “no”, quel no “a prescindere”, qualsiasi cosa il figlio proponga; ciò genererà non solo una continua frustrazione e rabbia nel figlio ma anche una profonda sfiducia nelle proprie capacità, è come se gli stessimo dicendo “non sei in grado di gestire questa cosa e quindi decido io ciò che è bene per te”. Allora la reazione potrebbe essere o di opposizione, da cui deriva un conflitto perenne genitore-figlio e la messa in atto di comportamenti di sfida che poco avranno a che fare con la crescita personale, ma solo con la voglia di voler contrastare il genitore; oppure una tacita sottomissione al volere genitoriale, con continue privazioni ed un’inevitabile immaturità dovuta alla scarsità di esperienze vissute.

         E poi ci sono genitori che dicono sempre “si”, non permettendo al figlio di comprendere che ci sono delle situazioni in cui le proprie necessità devono essere messe da parte per dare spazio a quelle altrui, i cosiddetti bambini viziati che hanno tutto quello che vogliono. Prima o poi questi figli rimprovereranno ai propri genitori di non aver mai ricevuto un “no”, un limite, un confine, e magari scopriranno che tutte le richieste più audaci erano fatte proprio con l’obiettivo di cercare un divieto, mai arrivato. Scopriranno di non aver avuto la possibilità di sentire crescere dentro di sé un desiderio di qualcosa, l’emozione dell’attesa e dell’incertezza del non sapere se quel desiderio sarà soddisfatto, poiché genitori troppo accondiscendenti spesso anticipano le richieste dei figli, privandoli dell’emozione dell’attesa.

         I divieti dunque non possono essere messi in un decalogo, o in un qualsiasi altro elenco, ma ogni famiglia ed ogni coppia genitoriale decide quali sono gli insegnamenti prioritari, quali sono i limiti entro cui vogliono far muovere la loro prole, assumendosi sempre la responsabilità di crescere un figlio che sappia vivere nel rispetto degli altri e di se stesso.