04/03/2014

TROPPO AMORE PUO' FAR MALE ?

Oggi ho tratto lo spunto per questa breve esposizione non da una notizia presa sui quotidiani, ma da una frase che ho risentito per l’ennesima volta riguardo ai presunti danni che possono fare le troppe coccole alla crescita dei bambini.

C’è ancora chi sostiene che i figli vadano baciati solo di notte mentre dormono, poiché altrimenti cresceranno come soggetti deboli.
Anni di studi scientifici svolti negli orfanotrofi dimostrano l’esatto contrario: infanti che non ricevono affetto, gesti di cura attenta ed emotivamente intensa, che non strutturano relazioni di accadimento soddisfacente, inizialmente si lamentano e richiamano l’attenzione degli adulti, poi non ricevendo risposta a tale bisogno si “rassegnano” e passano dall’immobilismo alla catatonia vera  e propria, con inespressività e inaccessibilità.
Questi dati dimostrano dunque che le amorevoli attenzioni rispondono ad un bisogno primario del bambino, che non afferisce solo alla necessità di essere nutrito e pulito, ma anche al nutrimento affettivo, al bisogno di instaurare relazioni con il mondo esterno per poter costruire il proprio mondo di conoscenze.
Sosteneva Bowlby, noto psicoanalista, “… fornire una base sicura da cui un bambino possa partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste rassicurato se spaventato” ( 1988 ).
Come forniamo una base sicura se non trasmettiamo al bambino l’immagine di un sé amabile, e come costruiamo un’immagine di sé amabile se non lo accogliamo fra le nostre braccia, lo baciamo, gli manifestiamo che è un essere degno di essere amato.
L’uomo è un essere relazionale, da sempre vive in contesti aggregativi in cui i rapporti fra pari sono necessariamente anche formativi. E la relazione fra un bambino e il suo caregiver primario ( la madre ) inizia già nella vita intrauterina, attraverso i movimenti fetali, per il riconoscimento della voce da parte del feto ormai ampiamente dimostrato da una moltitudine di ricerche.
La madre nei primi mesi di vita del suo piccolo ha il compito di accudire, contenere, sostenere il proprio bambino e di filtrare il mondo esterno insegnando al piccolo a conoscerlo senza averne paura, poiché sotto la vigilanza e la tutela materna.
In tal modo non si crea solo un legame di fiducia madre-figlio, ma anche una base sicura nel bambino rispetto alle sue primordiali capacità di entrare in relazione con il mondo esterno.
Immaginate il mondo con gli occhi di un neonato, appena venuto alla luce, è pieno di suoni troppo forti, luci troppo forti, gente che vuole ammirarlo, e lui vorrebbe solo ritrovare quella pace che ha vissuto per nove mesi e quei suoni che lo hanno cullato, il mondo esterno fa paura ad un essere così indifeso. Quelli che ad una neomamma suggeriscono di non tenere in braccio il proprio bambino, perché altrimenti si vizia, non si rendono conto di quanto stiano danneggiando il neonato, privarlo del contenimento di cui ha goduto per nove mesi, solo perché ormai è fuori e già deve “crescere”.
Un bambino coccolato quindi non cresce debole, in realtà è l’esatto contrario, cresce più forte, sicuro di sé, del proprio modo di interpretare il mondo e di costruire relazioni con esso.
Senza contare poi che nella relazione con la madre il neonato sperimenta l’imitazione e la compartecipazione emotiva, che lo aiuterà nel riconoscimento delle emozioni altrui e, di conseguenza, anche delle proprie.
Per il bambino poter riconoscere i messaggi emotivi altrui e categorizzarli, gli consente di procedere nell’interazione, di cogliere correttamente i messaggi inviati dagli altri membri con cui interagisce  e regolare le proprie azione e i propri stati d’animo su di esse.
La Still Face è una procedura faccia a faccia messa in atto da vari studiosi negli anni Settanta al fine di studiare proprio la regolazione affettiva del neonato nella relazione con la madre. Il paradigma prevedeva un breve periodo di interazione faccia a faccia fra madre e bambino di due minuti, a cui seguiva una fase della stessa durata nella quale la madre doveva restare immobile con il volto inespressivo, sospendendo ogni contatto e ogni comunicazione col neonato. A questa seguiva un’ulteriore fase di due minuti durante i quali la madre poteva ritornare comunicativa e relazionarsi con il suo piccolo.
E’ emerso che già a tre mesi un neonato coglie le emozioni che il volto esprime e adegua il proprio comportamento ad esse, inoltre da questo tipo di legame comunicativo nasce un sistema di aspettative nel bambino che lo aiuterà nelle relazioni con altre figure.
Inoltre se alle madri veniva chiesto, nella fase di immobilità, di assumere l’espressione di una persona depressa, l’espressione del bambino si confaceva  a quella della madre.
Dunque non si può avere il timore di manifestare ai nostri piccoli l’amore che proviamo per loro, perché così li aiuteremo a crescere più sereni, sicuri di sé e capaci di relazionarsi con la società, se con la nostra relazione saremo stati in grado di trasmetterglielo.