06/03/2014

UNO SGUARDO SUI NOSTRI ADOLESCENTI.

A Torino è stato somministrato ai ragazzi fra i 14 e i 18 anni un sondaggio per capire cosa vogliono gli adolescenti.
Fra le risposte ci sono: più informazioni, una città più ecosostenibile, trasporti pubblici e scuole più efficienti. Emerge l’immagine di adolescenti interessati al contesto ambientale nel quale vivono.
Ma soprattutto chiedono maggior rispetto.
Il sondaggio tocca però anche altri aspetti della vita  e attese, e alla domanda sul lavoro ambito le parole più riferite sono “stipendio”, “appagante”, “persone”, “viaggi”. In altre parole i nostri giovani non puntano molto sulla competenza professionale, ma su una dimensione più legata al desiderio, al piacere, come se il grado di gratificazione lavorativa sia legato ad un aspetto ludico più che di responsabilità. Un buon stipendio, un appagamento da esso derivante, che porti a contatto con le persone e che permetta di viaggiare. Non vi sembrano concetti legati più al tempo libero che al lavoro?
Certamente un lavoro più è appagante più è facile che lo si faccia con impegno e piacere, ma prima dell’appagamento viene la formazione, la competenza, e l’impegno stesso. E certamente a tutti piacerebbe guadagnare tanto, ma l’entità dello stipendio non può essere una discriminante nella scelta dell’impiego, soprattutto in un momento di crisi economica. E ancora a tutti piacerebbe unire al lavoro la spensieratezza del viaggio, ma sono pochi i lavori che contemperino entrambe le cose.
L’impressione è che il mondo affascinante dello spettacolo, del calcio, del guadagno facile, dell’apparire, abbia svuotato agli occhi dei ragazzi il senso vero del termine lavoro, ma soprattutto abbia causato un distacco dalla realtà, dal fatto che la maggior parte degli impieghi non abbia le caratteristiche leggere che loro hanno auspicato. Il lavoro necessita di una progettualità, che sicuramente deve iniziare proprio nella fascia d’età presa in considerazione, poiché è in quel periodo della vita che si sceglie la formazione in vista della costruzione di un futuro.
I nostri giovani sono vittime di input fuorvianti, che causano un distacco dalla realtà tanto pericoloso quanto più tardi si arriva ad una presa di coscienza, alla comprensione che non possiamo tutti diventare Totti, né veline, né star dello spettacolo.
E’ allarmante quanto i ragazzi puntano sul facile guadagno, arrivando a vendere il loro corpo per avere soldi per acquistare dei simboli di appartenenza: cellulare all’ultima moda, abiti firmati, grandi consumazioni nelle serate di sballo.
O possiedi tali oggetti o sei considerato fuori dal gruppo. Quella che si sta diffondendo è una cultura troppo legata al possesso e poco alla competenza umana e professionale, arrivando ad avere scarso rispetto per se stessi. Sembra paradossale che chiedano più rispetto agli adulti quando sono i primi a dimostrare di avere poco rispetto per loro stessi, per il loro corpo, per la propria individualità, votati al conformismo, all’uniformità.
Una speranza arriva da un altro quesito,quali esperienze ritengono utili per il futuro, dove le risposte sono state: “stage”, “soggiorni all’estero”, “lingue”.
Questi argomenti rientrano già in una dimensione di investimento e di progettualità positiva, che ci fanno ben sperare sulla possibilità di tornare a quell’esame di realtà di cui dicevo sopra.
Altro merito che va riconosciuto ai ragazzi torinesi è il riconoscimento della pericolosità della tecnologia, quando alla domanda sui problemi che può causare la tecnologia nei rapporti con gli altri, rispondono: surrogato, dipendenza, isolamento,finzione, fraintendimenti, cyber bullismo.
Per fortuna si stanno rendendo conto di quanto sia effimero ciò che propone internet; le relazioni sono fittizie, prive di un canale importante della comunicazione, quello non verbale, il canale cioè che arricchisce la relazione stessa di informazioni come il grado di vicinanza con l’interlocutore, l’intensità della relazione, l’emozione che si sta scambiando con l’altro. Ma soprattutto la veridicità delle informazioni che si stanno trasmettendo. Attraverso internet tutto questo si perde, un uomo si finge donna, un adulto si finge ragazzo ecc.
Non si comunica solo con le parole, ma anche e soprattutto con il corpo: il corpo esprime la piacevolezza dello scambio o il disagio, l’emozione, il sentimento, il gradimento della persona con cui ci intratteniamo ed anche il rapporto con essa, se intimo richiede una certa vicinanza fisica, se conoscente una distanza maggiore, se amico ci si scambia anche gesti di affetto.
Ogni rapporto ha bisogno di definire la distanza fisica che i corpi devono rispettare: una persona che abbiamo appena conosciuto non può essere tanto vicino da far sfiorare i corpi, perchè bisogna essere ad un certo livello di intimità per permettersi tale prossimità.
Senza dimenticare il profondo isolamento a cui il mezzo tecnologico conduce: per strada non parla più nessuno, sono tutti col capo chino su smartphone e tablet , completamente estraniati dal mondo circostante. Un isolamento che diventa distacco emotivo, che crea dipendenza dal mezzo, poiché “stare in rete” crea l’illusione di “essere in una rete” di relazioni, che genera l’illusione di avere “amici”, ma gli amici si sostengono nelle difficoltà, con gli amici condividiamo esperienze reali, non filmati su you tube, foto, e frasi sul web.
E vogliamo parlare dell’isolamento svalutante a cui conduce il cyber bullismo, che  ha condotto tanti ragazzi al suicidio, spinti al gesto estremo per gli insulti, le minacce le frasi denigratorie messe in rete da gente senza scrupoli che dietro al mezzo computer ritiene di essere deresponsabilizzato nelle proprie azioni?
Ma nonostante riconoscano i pericoli della rete, alla domanda sullo strumento più efficace per comunicare, al primo posto mettono il cellulare, poi la parola e a seguire whatsapp, internet, social network.
E’ come se vivessero una scissione in cui riconoscono i danni a cui può esporre il mezzo tecnologico, ma non riescono a farne a meno come mezzo per comunicare, è come riconoscere l’alienazione che produce, ma ritenerlo indispensabile e identitario.
L’ultima risposta è al quesito che spazio ha nella vita l’impegno sociale,  e purtroppo la risposta è niente o poco.
Il quadro finale che emerge è di ragazzi disorientati, in bilico fra il principio di piacere e il principio di realtà, che chiedono la presenza degli adulti come guida verso la scelta della strada giusta. E non possiamo sottrarci a questo richiamo.