02/03/2014

RISSA TRA GENITORI: QUALE ESEMPIO DIAMO AI NOSTRI FIGLI?

Quello di cui sto per parlare è un fatto accaduto nel maggio del 2008 a Tor Sapienza, quartiere di Roma, e riportato sul “Messaggero” di ieri.
L’articolo parla di due coppie di genitori di due ragazzine frequentanti la scuola media, che si sono affrontati nell’atrio della scuola senza esclusione di colpi, fino ad arrivare  a brandire un’ascia. La causa all’origine della lite? Una delle due ragazzine si era lamentata con la madre di non voler più andare a scuola a causa delle vessazioni di una compagna. La mamma recatasi a scuola per affrontare il problema con i professori si è trovata di fronte la mamma della ragazzina “rivale” ed ha avuto inizio un parapiglia fra le donne, a cui poi si sono aggiunti anche i mariti, fino al punto in cui una delle due coppie ha preso dall’auto un’ascia e distrutto la vetrata d’ingresso della scuola dove l’altra coppia si era rifugiata. Ovviamente il tutto è finito poi in tribunale.
Quando ho letto questo articolo ho provato ad immaginare la scena con gli occhi di una ragazzina di 12-13 anni; in questi nuovi panni mi sono subito posta una domanda: ma cosa vogliono insegnarmi questi quattro genitori che si picchiano selvaggiamente? Forse che alla violenza e  ai soprusi si risponde con altra violenza?
Ad un presunto atto di bullismo subito dalla figlia questa madre ha pensato di reagire con la forza, e quando brandivano quell’ascia cosa pensavano? Erano disposti ad estreme conseguenze senza aver approfondito i fatti all’origine della lite? Qualcuno ha chiesto ad entrambe le ragazzine cosa era accaduto fra loro? E per caso qualcuno ha chiesto cosa provavano in quella situazione sia la presunta vittima che la presunta carnefice? Qualcuno si è interessato ai loro stati d’animo e a provare a capire perché l’una prevaricasse e perché l’altra subisse?
Certamente è stato più facile arrivare alla violenza piuttosto che porsi delle domande su cosa sia accaduto e sul perché fra le due ragazzine non poteva esserci una relazione di amicizia, o un cordiale rispetto, o un rispettoso evitarsi.
Gli adulti dovrebbero imparare a chiedersi il perché delle cose, e ogni tanto magari anche osservarsi dall’esterno nei loro comportamenti, non bisogna mai dimenticare che i nostri figli ci guardano sempre e che ciò che vedono porta loro più insegnamenti di ciò che sentono.
Questi genitori hanno insegnato alle loro figlie che la violenza è l’unico modo per far valere le proprie ragioni, solo questo e nient’altro, niente comprensione, niente dialogo, niente ascolto, nessun pacifico confronto.
Tutte le regole del vivere civile sono state dimenticate.
A queste mie affermazioni qualcuno potrebbe obiettare: “ ok allora cosa facciamo davanti alla confessione di un figlio che sostiene di subire atti di bullismo?”
Ed io risponderei: come prima cosa approfondire i fatti lamentati, cosa sia accaduto, quando, dove, se eventualmente si fossero svolti alla presenza di altri adulti. In secondo luogo, se tali atti si fossero consumati a scuola, bisognerebbe chiedere la collaborazione del sistema scolastico, non solo nella vigilanza, ma soprattutto nell’educazione, magari due ore in meno di didattica e due ore in più di educazione civica, di dialogo emotivo con i ragazzi.
Dialogo emotivo vuol dire farli parlare su quello che si prova nel ruolo di vittima e cosa si prova nel ruolo di carnefice, fare un gioco di ruoli, in cui ognuno si identifica prima con un ruolo e poi con l’altro, ed infine far esprimere le emozioni derivanti.
Non serve parlare di un evento specifico con i protagonisti specifici, bensì è più utile impegnare tutti in un gioco di ruoli che permetta ai ragazzi di sviluppare il rispetto per gli altri, di comprendere che ogni azione comporta una reazione nell’altro, di sentirsi responsabili di quello che si fa e si dice anche se le intenzioni sono ludiche, di capire che ciò che per me è uno scherzo per l’altro può essere un’offesa, e che se reiterata può far stare davvero male l’altra persona.
In terzo luogo mettere di fronte, in un contesto privato, la vittima e il carnefice, farli dialogare pacificamente sul sentimento vissuto dal primo e sui motivi che hanno spinto il secondo ad agire contro l’altro.
Non esistono ragazzi cattivi per “costituzione”, esistono ragazzi incompresi, trascurati, dimenticati da tutti, bisognosi di attirare l’attenzione. Chi si comporta da cattivo ragazzo spesso ha avuto adulti di riferimento carenti, o assenti, o aggressivi, modelli di comportamento sbagliati. A questi ragazzi va insegnato un modo sano di attirare l’attenzione, che non è sbagliato aver bisogno di essere considerato dagli altri, ma che ci sono modi più sani di farlo.
E’ facile aggredire fisicamente chi ci aggredisce, o aggredisce una persona cara, più difficile è capirne i motivi, perché richiede tempo, richiede una relazione, richiede il mettersi in gioco emotivamente, ed in questo momento storico non si ha più voglia di costruire relazioni.
Queste reazioni estreme di adulti e adolescenti sono il prodotto di tale svogliatezza, e di un eccesso di relazioni virtuali in cui la violenza verbale, psicologica, fisica, la fanno da padrone.
Ma quale credibilità ha un genitore che si lamenta della violenza di un videogioco o di un film, e poi alla prima frustrazione risponde con la violenza? Riflettiamo su questo. E a quei genitori che si riconoscono in questo tipo di reazioni chiederei: ritenete di star svolgendo un buon lavoro educativo? Davvero “violenza per altra violenza” è la soluzione per i problemi della società in cui viviamo?