26/04/2014

COME LA PRECARIETA’ LAVORATIVA INFLUISCE SUL BENESSERE PSICOLOGICO.

Dal rapporto Confcommercio-Censis emerge che otto famiglie su dieci provano “una sensazione di precarietà e instabilità”, solo una su cinque ritiene di vivere in una condizione economica di stabilità. Il 40% delle famiglie vive in uno stato di sospensione, di attendismo, aspettando che “gli eventi si evolvano”, ma la pressione pressante del persistere della crisi e la mancanza di lavoro fa sì che l’80% degli italiani vive questo profondo senso di precarietà.
Al concetto di precarietà lavorativa ed economica, si legano quindi diversi vissuti psicologici che influenzano l’umore e la capacità dell’individuo di reagire ad un periodo critico personale e familiare: senso di fiducia in se stessi, percezione della propria competenza professionale, livello di autostima, percezione delle proprie capacità di accadimento rispetto alla famiglia, instabilità professionale, personale e relazionale, senso di insicurezza e di impotenza.
Di conseguenza la precarietà del lavoro si trasforma in precarietà degli affetti, lasciando due generazioni in un limbo sospeso, nel quale i giovani non possono progettare un futuro né lavorativo né familiare poiché non autonomi economicamente, e i genitori tornano a chiedere il sostegno economico ai loro genitori perché avendo perso il lavoro non possono più far fronte agli obblighi economici familiari.
Gli effetti primari, i più immediati, di uno stato di precarietà sono: impotenza, paura, rabbia, disorganizzazione, apatia, disperazione, comportamenti aggressivi, depressione, disturbi psicologici ( ansia, attacchi di panico, fobie ).
Gli effetti secondari sono legati al livello di fiducia rispetto ad un possibile cambiamento della situazione, se tali effetti vanno nel senso della fiducia avremo: rafforzamento dei legami affettivi, riscoperta di valori come la solidarietà sociale, riavvicinamento alla religione. Se le reazioni emotive vanno invece nel verso della sfiducia si presentano: perdita di fiducia in sé e negli altri, ed anche nelle istituzioni, rafforzamento dell’indifferenza vero le esigenze altrui,  avidità, diffidenza verso il diverso, tendenza ad un giudizio superficiale.
La precarietà incide sul senso di impotenza e sulla paura, generando come prima reazione un ritorno alle strategie sperimentate da bambino e al senso di sicurezza che fanno sperimentare, abbandonandosi alla dipendenza dall’ambiente. La percezione di un adulto è di non avere più il potere di influenzare gli eventi, senso di disorientamento, smarrimento, perdita della sicurezza di base. Quello che viene a mancare ad un adulto che perde il lavoro è una parte della propria identità, l’identità professionale, in quanto il lavoro è parte di noi, l’abbiamo scelto in base alle nostre inclinazioni ed aspirazioni, parla dunque di noi, di quello che siamo e di quello che vogliamo essere nel futuro. Quando, pur di lavorare, si rinuncia alla propria identità professionale accettando mansioni che non collimano con la nostra personalità, stiamo rinunciando ad una parte della nostra identità. Inevitabilmente il senso di insoddisfazione che ne deriva si ripercuote sul lavoro stesso, non ci si affeziona all’ambiente lavorativo ed ai colleghi perchè l’incarico è limitato nel tempo, il clima lavorativo dunque risulterà freddo e distaccato, indifferente. Senza contare l’effetto “mors tua vita mea”, per cui se anche il lavoro che si sta facendo non piace, essendo l’unico al momento possibile, l’empatia con il collega si annulla, e l’errore dell’altro può essere usato a proprio vantaggio.
Tutto questo rende gli individui più poveri socialmente, se l’altro viene vissuto come un nemico, come colui che “può rubarmi il lavoro”, viene a mancare la solidarietà sociale, l’empatia che lega gli individui e permette di non sentirsi soli nelle difficoltà.
Aumentano anche le separazioni, sia perché le difficoltà economiche aprono la strada al nervosismo che logora i rapporti, sia perché alcune donne vedono una perdita di virilità nell’uomo che hanno accanto e non riescono più a sanare tale immagine.
Il modo migliore per reagire al senso di insicurezza causato dalla precarietà è non arrendersi ai pensieri negativi, ma allenarsi al pensiero positivo, cercando di valorizzare la propria immagine e le proprie competenze e di sfruttare ogni risorsa, un lavoro che sembra distante da ciò per cui si è studiato può portare ad un arricchimento, rappresenta un’esperienza in più che può rivelarsi utile.
Per affrontare la ricerca di un lavoro e la soluzione dei problemi c’è bisogno di energie, carichiamo quindi le energie con tutto quello che ci piace fare, come sport, stare con gli amici, dedicarsi ai propri hobby, riusciremo a distogliere il pensiero ossessivo dai problemi ottenendo magari, dopo la distrazione, un nuovo punto di vista sulla possibile soluzione.
Inoltre è molto utile guardarsi intorno, magari si scoprirà di poter investire le proprie competenze su qualcosa di nuovo.
Non serve guardare gli obiettivi raggiunti dagli altri con invidia, ciò porta solo all’aumento del senso di inadeguatezza, piuttosto analizzare le capacità dell’altro per capire quali pregi ha usato per raggiungere quegli obiettivi, può rivelarsi una risorsa positiva.
Usare tecniche di rilassamento per gestire i problemi di ansia che possono derivare dalla situazione, ed in casi estremi chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta se ci si accorge di non riuscire ad uscire da soli dall’impasse emotivo.
Solo affrontando il peso emotivo che si vive, non vergognandosi di esso, ma guardandolo in faccia  e affrontandolo, permetterà di reagire alla precarietà e di scoprire in tempi più brevi le risorse, interiori ed esteriori, che daranno una svolta alla vita.