31/03/2014

VIVERE IN UN PRESENTE DILATATO.

Un’indagine de “La Stampa” mette a confronto le generazioni rispetto al clima di incertezza attuale e analizza le forme di progettualità di giovani e persone mature. Viviamo nel paradosso dell’informazione e della velocità di trasmissione, che ha come conseguenza un’impossibilità a progettare il futuro: non sappiamo quale esito avranno le azioni compiute oggi e se daranno i risultati attesi. In più ci muoviamo in un contesto globale per il quale le azioni di uno si ripercuotono in maniera più o meno diffusa su milioni di altre persone. Più sono estese queste catene di interdipendenza più è difficile prendere decisioni prefigurando i risultati attesi: la crisi in Crimea che influisce sugli equilibri internazionali, la crescita economica della Cina si ripercuote sull’economia globale, un percorso di studio non assicura di trovare occupazione in quell’ambito.
D’altra parte questa “globalizzazione della vita” rappresenta anche un’occasione di opportunità più ampia rispetto al passato, i percorsi individuali diventano più aperti. I tradizionali punti di riferimento cambiano. L’unica certezza attuale è l’incertezza.
In questo contesto sociale allora cambia la progettualità, si restringono i tempi dei progetti di vita e diventano più flessibili, verificabili e riadattabili.
I giovani si orientano a vivere il presente, in un clima di incertezza che rende impossibile fare scelte definitive. Mentre la generazione più adulta conserva la capacità di realizzare programmi a lungo termine. I giovani vivono in un “presente continuo” mentre gli adulti in un “futuro prossimo”.
Anche i confini fisici e spaziali dei giovani sono dilatati, non c’è luogo o momento in cui non si sia in rete, in una totale dipendenza ( se manca internet inizia il nervosismo ) come se apparire sui social network in ogni momento sia il segno della presenza in questo tempo e spazio allargato.
Il risultato finale è di giovani spauriti ed in cerca di punti fissi, ancore a cui aggrapparsi, mentre gli adulti faticano ad adattarsi a questa velocità e precarietà. Di conseguenza faticano ad adempiere a quel ruolo di punti di riferimento per i figli. Gli adulti devono costruirsi una nuova identità.
In chiave psicologica il risultato di questa situazione di incertezza è la precarietà dell’individuo, il sentirsi sempre in bilico, un funambolo sul filo della vita che cerca il suo equilibrio per non precipitare.
Da quando l’uomo ha smesso di essere nomade, diventando stanziale, ha avuto come obiettivo quello di costruirsi delle certezze: un luogo dove vivere, un lavoro che procuri il sostentamento, dei riti che scandiscano i tempi quotidiani e storici, religiosi e non. Oggi di certo non c’è più nulla. Anche puntare sulla formazione non è una certezza, poiché non si sa quale sarà la professione del futuro, il rischio è di prepararsi una professionalità e poi ritrovarsi a fare altro.
Ne consegue un senso di impotenza, la sensazione è quella di non poter decidere quale persona diventare, in qualsiasi momento potrebbe accadere un evento indipendente dalle nostre azioni a stravolgere i piani. Gli adulti ci hanno insegnato a progettare con attenzione il nostro futuro fin da piccoli, immaginando da adolescenti cosa vorremmo essere, ed invece la “globalizzazione della vita” ci costringe a cambiare costantemente i nostri programmi.
Il sentimento di inadeguatezza che ne deriva fa sentire gli individui come delle ombre invisibili, o sai troppo o troppo poco, oppure quello che sai non serve in quel momento ed in quel luogo, ti si chiede di essere sempre qualcosa di diverso da quello che sei. Tale situazione mina profondamente il senso d’autostima e di consapevolezza che ognuno dovrebbe avere di se stesso. Bloccando i giovani in un presente dilatato, impossibilitati a costruire una vita fuori dalla famiglia: senza lavoro non si può costruire una propria famiglia, si è costretti a permanere in una condizione di figli, non procedendo nel percorso di individuazione, di crescita psicologica, professionale, sociale.
Precari i giovani perché inesperti, precari gli adulti perché vittime della crisi.
In questo clima i giovani provano un profondo senso d sfiducia rispetto alla possibilità di emanciparsi dalla famiglia d’origine, e gli adulti, pur consapevoli di queste difficoltà giovanili, vorrebbero vederli indipendenti e realizzati prima che la crisi colpisca tutta la famiglia. Il risultato finale è quello di un mondo impazzito, nel quale la paura del futuro alimenta la rabbia e la depressione, nel quale ognuno è chiuso nel proprio guscio, a difendere avidamente ciò che si possiede, indifferente verso le necessità emotive ed economiche altrui.
Il senso di impotenza genera paura di perdere la sicurezza, la quale porta a regredire verso la difesa familiare, e quest’ultima alla dipendenza dall’ambiente. Uno dei bisogni primari dell’uomo è proprio  quello di sicurezza. Secondo la teoria dei bisogni di Maslow, esponente massimo della psicologia umanistica, la struttura di personalità si costruisce in base ad una gerarchia di bisogni e motivazioni, alla cui base ci sono i bisogni fisiologici e di sicurezza, seguiti da quelli di amore, appartenenza e affetto, poi quelli di stima ed infine quelli di autorealizzazione. Con la crescita questi bisogni emergono in modo progressivo. Secondo questa visione la precarietà incide sulla persona nella misura in cui minaccia il bisogno che per quella persona è più rilevante in quel momento. Pertanto se una persona è orientata all’autorealizzazione la spinta verso la realizzazione di questo bisogno potrebbe stimolare la creatività, se volessimo dunque vedere un aspetto positivo in questa precarietà dovremmo pensare ad essa come ad uno stimolatore di crescita e di sviluppo individuale verso la prospettiva dell’essere e non dell’avere, del bene universale anziché di quello personale.
La creatività cambia la prospettiva dalla quale si guarda il mondo, offre una visione alternativa delle cose, è la capacità di cogliere il positivo delle situazioni e valorizzarlo per volgerle a proprio favore. E’ la creatività che tiene la mente attiva, allontana la paura e combatte la sfiducia. L’ancora di salvataggio dei giovani.