DALLA LOGICA DEL DEFICIT ALLA LOGICA DELLE POTENZIALITA’.

Quando si parla di un paziente patologico la tendenza diffusa è quella di definirlo per quello che “non è”, “non può fare”, per l’impossibilità ad agire, ossia categorizzare la persona secondo il suo deficit. Secondo questa logica ciò che è sano è positivo, è potenzialità, è azione, mentre ciò che è malato è negativo, passività, immobilità.

Una logica del deficit che non aiuta né i bambini affetti da patologie, né, soprattutto, i loro genitori che devono elaborare un lutto ancora più pesante della scoperta del deficit, poiché viene presentato un futuro basato sull’impossibilità.
E’ difficile, per un genitore, fare i conti con ciò che il figlio non sarà.
Se cambiasse questo modo di vedere la patologia e, al momento della diagnosi, si cercasse di spiegare ai genitori ciò che potrà fare il proprio figlio, gli obiettivi che potrà raggiungere, li si aiuterà  a guardare il figlio come una persona, non come una malattia. E’ più facile accettare un problema se ci viene presentato non solo con la negatività del deficit, ma anche con la positività di una possibile competenza. La logica del deficit paradossalmente alimenta la logica del miracolo, infatti è così doloroso accettare tutto ciò che un figlio  non potrà fare che per “sopravvivere” si inizia a sperare in un intervento divino, soprannaturale, che sistemi le cose. Alimentando di conseguenza tutta la gente senza scrupoli, che sul dolore altrui specula, e questo miracolo lo promette, lo prefigura come possibile.
Con questo presupposto torniamo ad affrontare la problematica dell’autismo, una delle patologie che più spaventa i genitori, poiché vedono il loro bambino immerso in un mondo solitario, ripetitivo, con regole proprie; sperimentano l’assenza di comunicazione e  relazione,  e la conseguente frustrazione nel non riuscire a creare un rapporto soddisfacente ed interattivo.
L’isolamento dal mondo che caratterizza l’autismo, secondo alcuni studiosi deriva da un’impossibilità cognitiva a stabilire relazioni affettive, secondo altri invece è secondario rispetto all’incapacità di astrarre, di orientarsi nel mondo e nel gruppo di coetanei, mancando dell’esperienza del tempo, facendo solo l’esperienza dello spazio e del vuoto.
Elementi esperienziali che fanno sorgere nel bambino autistico il bisogno di IDENTITA’, nel senso di immutabilità del contesto intorno a sé.
Questi bambini devono proteggersi contro la disorganizzazione e l’angoscia legate alla patologia,  e per difendersi si chiudono nella ripetitività e nell’isolamento., nella creazione di un mondo certo, sempre uguale, immutabile, che rimandi un senso di sicurezza e stabilità.
Gli autistici temono di cadere nell’abisso, di disperdersi, di non esistere, chiudersi in se stessi protegge e tampona il panico di essere distrutti. Si chiudono dunque nelle loro sensazioni corporee, vivendo senza essere a conoscenza della loro dipendenza dagli altri. Ciò inibisce lo sviluppo cognitivo, poiché gli oggetti con cui entrano in contatto sono pochi e sempre gli stessi.
Un bimbo autistico, A., quando iniziava a camminare stringeva forte nelle mani un cucchiaino, poichè era associato alla sensazione tranquillizzante di essere nutrito. Per contiguità l’oggetto cucchiaino diventa tranquillizzante anche in un ambito diverso dalla nutrizione. Il principio d’identità che guida questa logica è legato alla transitività, dove la rappresentazione dell’affetto e l’affetto della rappresentazione diventano inscindibili, dove l’oggetto transizionale e l’emozione che questo rappresenta diventano un’unica cosa.
In tal modo l’oggetto si ripete ossessivamente, in una fissità, ogni volta che necessita di sicurezza. Il cucchiaino trasmetteva ad A. la sicurezza necessaria per poter camminare. E al cucchiaino assimilava tutti gli oggetti che avevano le stesse caratteristiche di durezza e dimensione, pennarelli, matite ecc.
Insegnando ai genitori a leggere i comportamenti ossessivi del figlio autistico non come deficit, ma come messaggio comunicativo, come un gesto o un oggetto che infondono sicurezza, potranno insegnare loro anche ad entrare in quello schema mentale e cercare di modificarlo, di sostenere il bambino nella ricerca di una sicurezza interiore.
Con pazienza, poiché la rottura dello schema provocherà inizialmente nell’autistico una reazione rabbiosa  oppositiva, in quanto si paleserà il timore della rottura, della dispersione; ma è proprio in quel momento che si può provare ad instillare la possibilità di aggrapparsi ad altri oggetti autistici di sensazione, come la mamma. Rassicurandolo sulla sua immagine reale, sul fatto che anche senza il suo oggetto è rimasto intatto  e che se avesse bisogno di aiuto non è solo, ma vicino a lui c’è la mamma alla quale può chiedere sostegno.
Questi oggetti a lungo andare diventano una barriera che impedisce il contatto con gli altri, per tale ragione è importante intervenire per ampliare il numero di “oggetti” che trasmettono sicurezza.
Un bambino sano lega l’immagine allo stato d’animo che provoca in lui e in chi lo circonda, è capace di riconoscere nell’altro uno stato d’animo, un bambino autistico non lo fa, non ha questa percezione trans modale, non attribuisce all’altro delle emozioni, poiché aderisce all’oggetto, non integra le sensazioni fisiche alle sensazioni emotive, le quali restano distinte.
E’ importante dunque nel rapporto  con un bambino autistico il lavoro di interpretazione, spaventa meno i genitori sapere che i comportamenti ripetitivi e di isolamento rappresentano una comunicazione, non una chiusura. Con questa conoscenza sarà possibile per il genitore entrare in relazione con il proprio figlio, non senza fatica, questo è chiaro, non è una strada facile, ma è una strada percorribile.
E’ fondamentale però comprendere che è necessaria una condivisione a livello di significati tra il bambino e il suo interlocutore, bisogna entrare nel SUO processo di significazione, non cercare di portare lui nel proprio, altrimenti il fallimento è sicuro.
La conoscenza è ricchezza: sapere quali competenze ha il proprio figlio, quali risorse per comunicare, in quale modo categorizza il mondo, aiuta a comunicare con lui e intessere un rapporto interattivo.