LA DINAMICA SISTEMICA DEL BULLISMO.

         Il termine bullismo è entrato nel nostro vocabolario quotidiano a causa di eventi sempre più violenti che riempiono le pagine dei giornali. Esso è la traduzione del termine inglese bullying, che indica le prepotenze tra pari in un contesto gruppale; è un comportamento antisociale, insidioso e pervasivo con particolari caratteristiche: INTENZIONALITA’, il bullo mette in atto consapevolmente atti violenti contro la vittima allo scopo di offenderla, deriderla e controllarla; PERSISTENZA, i comportamenti violenti continuano nel tempo; ASIMMETRIA DI POTERE, la relazione fra bullo e vittima è asimmetrica per la forza maggiore dell’uno sull’altro, le migliori capacità di scoprire i punti deboli del bullo e spesso, purtroppo, il ruolo di leader nel gruppo di pari.

         Si può distinguere un bullismo diretto, fatto di comportamenti o offese verbali e minacce, ed un bullismo indiretto, che si esprime attraverso l’esclusione sociale, la diffusione di calunnie e pettegolezzi e l’isolamento della vittima rispetto al gruppo.

Il fenomeno del bullismo prevede almeno tre protagonisti: la vittima, il carnefice, lo spettatore. Ognuno di questi protagonisti mette in campo aspetti diversi della propria psiche: solitamente la vittima è un soggetto che percepisce se stesso come debole rispetto all’altro, poco interessante ed incapace di attirare l’attenzione positiva dell’altro. Vari studi dimostrano che le vittime hanno una bassa autostima, ed un’opinione negativa di sé e delle proprie competenze. Quando gli atti di prevaricazione avvengono e si prolungano nel tempo, la vittima precipita in stati d’ansia e frustrazione, a livello cognitivo tende a valutare sconfitte temporanee come permanenti, aggravando ancora di più lo stato di sopraffazione e sottomissione.

Il bullo, al contrario, ha apparentemente un livello di autostima molto alto, un’immagine di sé vincente, combinata a narcisismo e manie di grandezza, ha un approccio ottimista rispetto alle proprie capacità di far fronte alle situazioni. Per questa immagine che rimandano di sé di solito i bulli sono “popolari” nel gruppo amicale. In realtà questa immagine di sé così alta collide con una percezione interiore di un sé non molto adeguato che ricorre alla violenza per farsi rispettare  e alla paura come strumento per mantenere gli altri vicino a sé. Sono soggetti che non conoscono modi positivi e sani di relazionarsi, che hanno sperimentato che con la prevaricazione data dalla relazione asimmetrica possono avere sempre qualcuno vicino. Confondono la paura che porta gli altri a stargli vicino con il rispetto. I bulli pensano con le loro azioni di guadagnare potere, ammirazione e attenzione, migliorando così l’immagine interiore che hanno di sé.

E poi ci sono gli spettatori, coloro che assistono passivi alle violenze, oppure filmando con i cellulari, e che non fanno nulla per difendere la vittima o fermare il bullo. Questi sono soggetti anch’essi deboli, con bassa autostima e che temono così tanto di diventare a loro volta vittime che sono quasi sollevati dal fatto che lo sia qualcun altro. Per questo non fanno niente in difesa, piuttosto incitano il leader a continuare, sia scongiurando la possibilità che egli possa rivolgersi verso di loro, sia traendo “forza” e “riconoscimenti” dal fatto di stare dalla parte del “più forte”. Restando parte del gruppo vivono di luce riflessa, quella del leader. Come il bullo anche lo spettatore pensa che le azioni del primo possano, di riflesso, fargli guadagnare potere e ammirazione, migliorando l’immagine di un sé fragile e poco “attraente”.

Tutto ciò descrive una dinamica sistemica secondo la quale un membro di questa triade non esisterebbe senza l’altro.

Ma il presupposto fallace che è alla base di questo sistema è la tendenza a relazionarsi con i pari attraverso l’aggressività. E’ nell’esperienza di tutti questa facilità all’utilizzo della forza per mostrare agli altri ciò che si è. Quando si parla di aggressività bisogna distinguerne una reattiva ed una proattiva. L’aggressività reattiva si sostanzia nella reazione ad una situazione, quindi è una conseguenza, mentre per aggressività proattiva si intende la propensione ad utilizzare la forza per raggiungere i propri obiettivi di dominanza nel gruppo.

In questo contesto appare evidente che né il bullo né lo spettatore, seppure in maniera passiva, prendono in considerazione le conseguenze che le loro azioni hanno sulla vittima, conseguenze che possono durare negli anni e riverberarsi persino nell’età adulta. Bullo e spettatore agiscono solo per perseguire i loro scopi di affermazione, non importa se in maniera insana giungono al loro obiettivo, non riescono a sentire la minima empatia, ma con nessuno, non solo con la vittima, pensano solo a costruire un’immagine di sé più forte.

In un prossimo articolo tratterò le conseguenze in  età adulta delle violenze sia subite che esperite.