L’EMPATIA: COS’E’ E COME SI SVILUPPA.

L’empatia è una delle capacità più particolari dell’essere umano, è ciò che ci permette di entrare in comunicazione ed in sintonia emotiva con un altro essere umano. Una capacità che consente una comunicazione profonda fra due mondi emotivi, che permettono di intuire cosa stia provando il nostro interlocutore, di leggere i segnali non verbali contenuti nei gesti del corpo, nel tono della voce. E’ un’abilità che richiede attenzione e sensibilità verso il prossimo, una comunicazione profonda che consente l’instaurarsi di una relazione di fiducia con l’interlocutore qualora si colga la trasparenza comunicativa, ossia la concordanza fra ciò che si comunica verbalmente e lo stato d’animo che si prova.
La comprensione empatica necessita di autocontrollo: se un medico, calandosi nei panni di un paziente, si lasciasse sopraffare dalla sofferenza causerebbe un danno al paziente stesso che si abbatterebbe ancora di più. Serve a comprendere lo stato emotivo dell’altro per offrire sostegno, ma lo scambio va controllato per evitare che il dolore altrui si diffonda anziché essere contenuto.
L’ascolto empatico inoltre implica una sospensione del giudizio, l’ascoltatore non deve esprimere una valutazione morale su ciò che prova l’altro e sulle sue esperienze di vita, solo ascoltare per sostenere e facilitare una personale esplorazione della verità.
Le relazioni fondate sull’ascolto empatico sono più sincere.
Uno studio dell’University of Virginia, del 2013, suggerisce che riuscire a mettersi nei panni degli altri dipende dalla relazione che creiamo fra noi e le persone care, con la familiarità queste persone diventano parte di noi, come se “il nostro sé includesse le persone che sentiamo vicine”, come sostiene l’autore della ricerca James Coan.
Usando la risonanza magnetica funzionale Coan ha scoperto una forte correlazione fra le scansioni cerebrali di persone familiari fra loro. L’esperimento prevedeva che 22 soggetti venissero monitorati mentre rischiavano che scosse elettriche colpissero sé stessi, degli amici o degli sconosciuti. È emerso che venivano attivate le stesse aree cerebrali quando la minaccia riguardava se stessi o un amico. Ciò dimostra che entrando in relazione empatica con l’altro si verifica nel cervello un modellamento del sé su quello degli altri. L’altro diventa parte di noi, e le nostre risorse si espandono. L’obiettivo dell’altro diventa il nostro. 
Ciò è possibile grazie alla presenza nel nostro cervello di un particolare tipo di neuroni, i neuroni specchio, i quali consentono l’apprendimento di un comportamento o di un’emozione solo osservando un altro che compie l’azione o esprime l’emozione. Sono proprio questi i neuroni implicati nell’empatia, che consentono al cervello di modellarsi su un’esperienza non personale ( cioè non del soggetto che la compie), e che consentono l’integrazione di informazioni cognitive ed emotive in rappresentazioni di sé, permettendo la modulazione e regolazione degli stati affettivi, e modulando in maniera efficace il comportamento sociale.
La scoperta dei neuroni specchio rappresenta una svolta nella spiegazione dell’intersoggettività e del funzionamento interpersonale. Da ciò deriva che lo sviluppo e l’organizzazione funzionale del cervello umano si modula sulla base di un continuo rapporto fra la componente genetica e l’ambiente in cui si vive, tanto per le esperienze sociali che per le esperienze relazionali. L’ambiente in cui si cresce influisce dunque direttamente sulla neurogenesi, sulla differenziazione e sulla genesi delle sinapsi del cervello.
I neuroni specchio sono coinvolti: nella comprensione degli altri, sulla conoscenza di sé, sulla capacità di regolazione delle emozioni, su tutti i processi che avvengono nell’interfaccia fra la comprensione di sé e degli altri.
Questa classe di neuroni rappresenta la base biologica della relazione fra madre e bambino, e della conseguente rappresentazione di sé che grazie a questa relazione si struttura: vari esperimenti sono stati fatti con i bambini per vedere quanto uno stato emotivo depresso della madre potesse influire sul loro sviluppo cognitivo ed emotivo. Si è visto che già nei primi mesi di vita il neonato risponde alle espressioni del volto materno, e a queste reagisce, modulando il proprio stato emotivo in maniera congrua a quello espresso dal volto materno.
Anche nella psicoterapia è stata dimostrata l’efficacia dell’azione dei neuroni specchio: mostrando al paziente la registrazione della propria seduta terapeutica durante un momento emotivamente significativo, e poi ri-vede se stesso mentre osserva tale filmato, permette di sfruttare verso se stessi i meccanismi della comprensione empatica. Con questa procedura il paziente rivede se stesso come in un film, e riconosce le proprie emozioni non attraverso l’autoriflessione, ma attraverso l’osservazione del proprio comportamento non verbale e dell’espressione mimico-facciale. Tale osservazione dall’esterno consente al paziente una maggiore riflessione sugli stati mentali, aumentando la capacità metacognitive, sfruttando il valore terapeutico non solo della parola, ma anche della visione di se stessi. Attivando con questo meccanismo i neuroni specchio, vengono attivati anche i circuiti cerebrali sensori-motori, viscero-motori e affettivi, consentendo una replicazione di tutte le sensazioni vissute in quel momento, rivivendole come se fossero attuali.
Questo stesso meccanismo entra in azione quando ascoltiamo empaticamente le sensazioni ed emozioni del nostro interlocutore. Ed è lo stesso meccanismo che permette al neonato di sviluppare una conoscenza del mondo esterno pur potendo fare di esso solo un’esperienza marginale.