25/03/2014

TEST SULL’INDIFFERENZA.

Sono stati alcuni attori per conto della trasmissione “Lucignolo” che hanno fatto l’esperimento: hanno inscenato uno scippo ed una lite violenta fra un uomo e una donna a Firenze, Milano, Napoli e Palermo. A Firenze c’è stata una pronta risposta dei passanti che hanno puntualmente fermato l’aggressore, e cercato di placarne le ire; nelle altre città non tutti hanno dato sostegno alle finte vittime, alcuni hanno preferito chiudersi nell’indifferenza.
L’indifferenza rappresenta un modo di organizzare l’esistenza personale, in maniera inconscia, nel quale stabiliamo ciò che faremo ma soprattutto ciò che ci permetteremo di sentire. E’ un “sentire poco” che rappresenta l’anticamera della non conoscenza, del non ascolto, della non espressione di sé. Talvolta però può essere un atteggiamento che difende da emozioni temute, che si preferisce tener ben chiuse per paura che se uscissero fuori potrebbe essere devastanti. In questa forma quindi l’indifferenza è il prodotto di una più forte paura di sentire “troppo”.
E’ un non-sentimento, un distacco emozionale da sé e dagli altri, una mancanza di interesse per il mondo, alimentata dal desiderio di non essere coinvolti, né contro gli altri né a favore degli altri. Alla base c’è una speranza delusa di trovare un senso alle cose, alla vita, alle emozioni, una passività rispetto alla possibilità di darsi da fare, la sconfitta dell’autenticità contro il distacco di una maschera costantemente indossata con sé  e con gli altri. Tutto ciò produce una solitudine, che è vuoto, assenza di comunicazione, assenza di rapporti veri, dove non serve lanciare alcun messaggio perché nessuno è presente per raccoglierlo.
E’ un meccanismo di difesa che si innesca in primo luogo verso se stessi, spesso chi è indifferente verso gli altri lo è soprattutto verso se stesso, non si concede di entrare più in profondità nel proprio stato d’animo per paura di essere sopraffatti da quel turbine di emozioni, e se non si riconosce una vulnerabilità dentro di sé, difficilmente si attribuirà una vulnerabilità al prossimo.
La conoscenza delle emozioni avviene fin dalla nascita, momento in cui vengono assorbite dal neonato le emozioni della mamma, impara a conoscerle ed identificarle, e successivamente le riconosce dentro di sé e le utilizza. Spesso coloro che rifuggono l’idea di guardare in profondità dentro se stesse hanno avuto esperienze negative nella relazione emotiva con le figure genitoriali, ed hanno elaborato il meccanismo difensivo dell’indifferenza per evitare di entrare in contatto con il dolore. I bambini si impongono l’indifferenza per sopravvivere all’infelicità causata da genitori indifferenti ai loro bisogni profondi, e continuano a sopravvivere tutta la vita imparando modi sempre nuovi per evitare il dolore.
L’obiettivo primario dell’indifferenza è non riconoscere le emozioni, soprattutto il dolore, dentro di sé, la mancanza di empatia è solo la conseguenza di questo atteggiamento.
L’indifferente teme di riconoscere nell’altro il dolore che conosce in quanto simile al suo, e che non ha mai elaborato perché da sempre temuto. E’ un atteggiamento che evita il dialogo interno, un dialogo che da bambini è impossibile fare, ma da grandi è possibile e necessario. Il dialogo interno è ciò che ci permette di entrare in contatto con la gioia, la felicità, il dolore che vivono dentro di noi, e che se autentico ci permette di entrare in contatto con gli altri su un piano di rispetto e disponibilità, di empatia. Se tale dialogo è scarso non potremo incontrare gli altri in maniera profonda ed intima. Alimentando così un mondo di rapporti falsi, con protagonisti mascherati che impersonano falsi sé e danno vita a dialoghi e relazioni privi di profondità emotiva.
Il meccanismo dell’indifferenza, che protegge se stessi dalla sofferenza, non permette neppure di comprendere la sofferenza che causiamo agli altri con le nostre azioni, richieste, lamentele, vendette, seduzioni. Se i rapporti sono basati su questo meccanismo difficilmente ci si fermerà a riflettere sulle conseguenze che le nostre azioni hanno sugli altri. E troppe storie di cronaca degli ultimi tempi ci testimoniano proprio questa scarsa attenzione a come i propri comportamenti si riverberano sugli altri. Ad esempio il bullo pensa a scaricare sul prossimo la rabbia per il dolore subito, e a fatica tenuto silente, ma non pensa al dolore fisico e psicologico che sta infliggendo alla sua vittima. Allo stesso modo colui che assiste inerme ad un sopruso o ad un atto di violenza, percepisce un attacco alla propria sicurezza interiore e non interviene, se lo facesse dovrebbero riconoscere l’esistenza di quello stesso dolore in se stesso.
La tecnica principalmente utilizzata per distaccarsi emotivamente da sé e dagli altri è l’attenzione: si impara a stare poco attenti alle cose che accadono intorno a noi, poiché l’attenzione rende sensibili. Ci si distrae dalle relazioni importanti focalizzandosi sui passatempi. Più ci si distrae dai propri desideri e meno dolore si prova quando questi vengono disattesi o ignorati. Ci si concentra sulla carriera professionale per evitare di sentire l’insoddisfazione della vita sentimentale.
Ma una vita distaccata dalle emozioni non è una vita reale, si indossa una maschera non solo per nascondersi agli altri, ma anche per mascherare a sé stessi ciò che si è veramente, interiormente. Così facendo non si vivrà mai una vita “nostra”, in cui manifestiamo la nostra vera natura, con le sue debolezze che convivono pacificamente con i punti di forza. Degli attori in una rappresentazione perpetua di una vita dissimulata.
Il dolore è parte integrante della vita, va accettato, elaborato e assimilato al pari della felicità, non può essere messo a tacere, poiché comunque premerà per esprimersi e potrebbe manifestarsi con un disturbo psicologico. Mettere a tacere il dolore è solo un’illusione. Quindi anziché l’indifferenza sarebbe più utile mettere in scena la drammatizzazione della vita, incontrare le emozioni, affrontarle, guardare il dolore come un alleato, perché ci offre un altro sguardo sulle cose, su di noi e sugli altri. Riconoscere la debolezza e la sensibilità come punti di forza, poiché sono gli aspetti di noi che ci faranno entrare in contatto vero con le persone che scegliamo di frequentare. Tenendo sempre presente che più si conoscono le proprie risorse interiori più sarà facile destreggiarsi fra gli ostacoli della vita. E che quando si cerca di nascondere la polvere sotto il tappeto o si tengono chiuse le finestre oppure il rischio che arrivi una folata di vento e faccia venire fuori tutto è alto.